martedì 26 novembre 2013

Panorama di Palermo dalla Torre di San Nicolò all'Albergheria

Grazie alla manifestazione " Le vie dei Tesori ", che ha permesso di visitare luoghi della città spesso chiusi al pubblico e non presenti negli itinerari più comuni, ho avuto l'opportunità di salire in cima alla Torre di San Nicolò, situata tra mercato di Ballarò e il quartiere dell'Albergheria.
Dall'alto si ha una vista mozzafiato della città, e per far godere anche voi di questo bellissimo panorama vi mostro le foto che ho scattato!


Torre San Nicolò

A sinistra, la cupola e il campanile della Chiesa di San Francesco Saverio

Il Palazzo Reale o Palazzo dei Normanni con l'osservatorio astronomico sulla parte destra del complesso. Nella parte destra della foto, Porta Nuova.

Cattedrale

Cupola della Cattedrale

A sinistra, cupola della Chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, a destra cupola della Chiesa di Santa Caterina.


Mercato di Ballarò con i suoi tendoni.
Chiesa del Carmine Maggiore
Cupola della Chiesa del Carmine Maggiore


Ancora una foto della cupola della Chiesa del Carmine Maggiore

A sinistra, il grattacielo Ina Assitalia, al centro Chiesa del SS. Salvatore, a sinistra il Teatro Massimo e la torre della stazione dei pompieri.
Torrette sopra l'ingresso centrale della Cattedrale (su Via Bonello)

Monte Pellegrino

Cupola della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini

Porta Nuova


Cupola della Chiesa di S. Caterina

A sinistra, cupola di Casa Professa (Chiesa del Gesù)


venerdì 5 luglio 2013

E se sognassimo di meno?


Ciao lettori! Oggi vi posto il racconto con cui mi sono classificato in seconda posizione al concorso di narrativa " Pietro Piazza ", organizzato nella mia scuola.

Il tema sono i sogni che ogni immigrato porta con sé nella sua vita. 
Sogni che non riguardano solo l'immigrato, ma ogni essere pensante.


E se sognassimo di meno?

C’è sempre un sogno nella nostra vita. Il sogno di luogo in cui i progetti possono essere realizzabili, un luogo che possa finalmente dare gli elementi per ripartire da dove si è fallito, un luogo in cui si può cullare ogni desiderio e dove la nostra disperazione può essere cancellata.          
La storia del mio amico Thomas è la storia di un gran sognatore; lui viveva di sogni. 
Originario del Congo, così come mi disse in uno dei nostri incontri, Thomas aveva impugnato un Kalashnikov all’età di 7 anni. Giocando, combatteva contro entità a lui sconosciute, ma che gli erano state imposte come nemiche. A lui non importava tutto ciò, la sua unica preoccupazione era guadagnare pochi spiccioli per garantire un po’ di cibo a sua madre e ai suoi quattro fratelli. Suo fratello Mohammed era scappato di casa, senza dire nulla a nessuno. Thomas credeva che sarebbe tornato, prima o poi. 
All’età di 13 anni, si era procurato una larga ferita sulla fronte a causa di un combattimento corpo a corpo, e aveva cominciato a non sopportare più ciò che faceva. Sognava altro.Crebbe e fu accusato di pensare; non voleva più far parte delle milizie. Nessuno lo accettò più. Il villaggio dove viveva, la famiglia, tutto ciò che era per lui la vita sembrò voltargli le spalle inevitabilmente. 
A 16 anni cominciò il suo esilio.                                                                                              
Si spostò di nazione in nazione, poiché sognava di lavorare in Tunisia.  Lì trovò ciò che desiderava, un’esistenza più libera e l’occasione di rifarsi.Thomas lavorò in un negozio di tessuti come magazziniere, poiché presentava una vistosa cicatrice nella fronte, che si era provocato a 13 anni, e non era adatto per la vendita ai clienti. Si accorse che guadagnava troppo poco, e non poteva avere altro che delle limitate razioni di cibo da mangiare nella sua baracca costruita con pannelli prelevati qua e là tra le discariche.
Durante la sua permanenza in Tunisia sentì delle storie riguardo alla possibilità di spostarsi verso l’Italia, dove ogni africano poteva godere dello stile di vita occidentale e cambiare definitivamente la condizione sociale. Fu così che decise di imbarcarsi in quello che sembrava l’ultimo viaggio della sua vita. 
All’età di 18 anni, Thomas fu ancora una volta schiavo dei suoi sogni. Viaggiò di notte insieme ad altre decine di persone. Scorse negli occhi dei suoi vicini sognatori le stesse emozioni che infervoravano lui e che lo avevano portato nella situazione in cui si trovava. Fu scosso dall’incontro con una madre che allattava la sua piccola creatura. Il bambino piangeva, piangeva continuamente tanto da infastidire Thomas, che non sentiva piangere qualcuno da quando sua madre aveva capito che non voleva più far parte delle milizie. Quel pianto sembrò determinare la prima minaccia che Thomas avvertì nel flusso costante dei suoi sogni.
Arrivò in Sicilia e si spostò a Palermo insieme ad altri immigrati; aveva sentito che a Palermo c’era una comunità di Congolesi che poteva aiutarlo ad integrarsi. Accade qualcosa di inaspettato. In comunità gli dissero che avevano conosciuto un ragazzo molto simile a lui, di nome Mohammed, che si era trasferito a Roma da due mesi. Suo fratello. 
Fin dalla prima volta che era partito, non aveva mai pensato che fosse possibile incontrare nuovamente il fratello; aveva digerito il suo allontanamento come qualcosa di ordinario, non era la prima volta che ciò accadeva nel suo villaggio originario.  La notizia lo convinse a spostarsi per l’ennesima volta, dopo aver raccolto del denaro lavorando in un negozio gestito da cinesi a Palermo.
 Alle porte dei suoi 19 anni, l’occasione di ricominciare in compagnia del fratello lo stimolava ancora una volta a credere che qualcosa di meglio era possibile, che qualcosa di più bello era alle porte e che la sua esistenza poteva finalmente raggiungere stabilità. 
Roma si presentò ai suoi occhi con tutta l’imponenza dell’enorme città che aveva immaginato; le sue strade, la sua gente, le sue luci sembravano per lui il compimento di una vita. Capita quando non abbiamo altro in cui credere. 
Anche questa volta, Thomas fu schiavo dei sogni.
Quei sogni che ormai diventavano mostruosi burattinai capaci di deviare la coscienza di Thomas verso scelte irrazionali, scelte che ormai determinavano soltanto l’irrefrenabile illusione di un uomo che in realtà inseguiva qualcosa che egli stesso non sapeva definire, come i nemici dei combattimenti a cui aveva partecipato quando era un bambino soldato. 
Incontrò Mohammed in una casa di periferia, in cui viveva con altre cinque persone. Non si abbracciarono; il saluto fu freddo. Mohammed aveva lasciato Thomas con un fucile in mano, e questa immagine si presentava tagliente agli occhi del fratello, che quasi lo identificava ancora in quel modo. Si raccontarono a vicenda. Thomas scoprì che stava inseguendo qualcosa che anche il fratello aveva da sempre sognato. Ciò non gli provocò piacere per la condivisione di un destino comune, ma piuttosto lo fece rattristare, perché cominciò a comprendere i risultati negativi che i sogni potevano provocare, al punto che tutto ciò che aveva provato all’arrivo a Roma sembrava essere svanito nel nulla. Infatti, Mohammed lavorava sul Lungo Tevere, vicino Castel Sant’Angelo. Vendeva sciarpe, cappelli, guanti e cianfrusaglie sulla sua bancarella personale. Quando si alzava un po’ di vento o sopraggiungeva il maltempo, la bancarella, instabile, cadeva e tutta la merce finiva per terra, costringendo Mohammed ad affrettarsi per raccogliere ciò che vendeva. Un po’ come la sua vita. E’ lì, presso la bancarella del fratello, che per la prima volta incontrai Thomas. 
Un freddo pomeriggio d’inverno avevo deciso di comprare un paio di guanti di lana e mi fermai proprio dove Thomas lavorava con il fratello. 
Mi parlò con un italiano che mi fece subito sorridere, perché presentava un forte accento africano che lo rendeva buffo, tanto che accorgendosi dell’ilarità che aveva suscitato, anche lui si mise a ridere. 
Dopo il primo incontro, passai più volte da Castel Sant’Angelo. Ad ogni occasione lo salutavo, e capitava di fermarmi per chiacchierare con lui.  Il 1° Maggio andai al concerto che si tiene a Roma ogni anno, per passare una piacevole serata con gli amici. Lo incontrai tra la folla, vendeva ombrelli. Mi chiese perché c’era quel concerto, ed io risposi che quel giorno era la festa del lavoro. Thomas mi rispose che doveva lavorare per tutta la serata. 
Lo incontrai altre volte sul Lungotevere, e parlammo ancora per più tempo. Attraverso alcune frasi che mi disse compresi quanto era travagliata la storia di Thomas, ed è per questo motivo che decisi di farmi raccontare tutto su di lui, poiché mi interessa capire quali sono i problemi che affliggono gli immigrati. 
Ma lui aveva qualcosa che suscitò particolarmente il mio interesse. Ogni volta che raccontava un pezzo della sua storia, il suo viso si velava cupamente di infelicità e sofferenza, fino a diventare assente.  Capii che sognava così tanto che non si svegliava mai. Troppe le speranze che aveva riposto nei sogni, così tante che si innalzò fino a non toccare più la realtà. Parlava solo di sogni, speranze, cosa voleva essere. Non era più nessuno e la sua anima sembrava essersi dissolta nel flusso incessante dei sogni che sempre lo avevano accompagnato.




Davide


sabato 8 giugno 2013

Luigi Pirandello - Mie ultime volontà da rispettare

Questo post voglio dedicarlo ad uno dei miei scrittori preferiti, e sicuramente l'autore di cui condivido tanti aspetti della sua visione del mondo. Vi parlo di Luigi Pirandello.
In questo testo si pone non solo maestro di vita, ma secondo me, anche di morte. Non traspare che umiltà da queste sue ultime volontà. Vuole morire inosservato, perché l'intellettuale è spesso convinto di essere un fastidio per il mondo, un diverso che deve essere spazzato via nel silenzio. Ed è quello che lui stesso desidera.
 


Luigi Pirandello - Mie ultime volontà da rispettare


I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera, non che di parlare sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzii né partecipazioni.
II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso.
III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta.

IV. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui."


venerdì 3 maggio 2013

Chiesa Anglicana " Holy Cross ", Palermo

Durante il primo weekend dellla manifestazione " Palermo apre le porte: la scuola adotta la città " (12,13,14 Aprile) ho visitato la Chiesa Anglicana " Holy Cross " situata in Via Roma all'angolo con Via Mariano Stabile, un pò prima di arrivare all'Hotel delle Palme.

Che ci fa una chiesa di professione Anglicana a Palermo?
Per larga parte dell'800 la presenza inglese in Sicilia e particolarmente a Palermo divenne stabile. Gli affari inglesi in Sicilia hanno origine nella figura John Woodhouse, che alla fine del '700 si accorse che il vino di Marsala poteva essere un ottimo investimento, e competere con i già famosi Madera e Porto. La bontà del vino di Marsala conquistò anche il celebre Ammiraglio Nelson, che ne disse << Il vino è talmente buono da essere degno della mensa di qualunque gentiluomo >> . La produzione di vino interessò anche altre famiglie inglesi tra cui gli Ingham e i Whitaker. Joseph Whitaker, figlio di Mary Ingham e sorella di Benjamin, partì dalla Gran Bretagna nel 1819 per aiutare lo zio Benjamin Ingham nell'azienda vinicola a Marsala. Nel 1853 più della metà della produzione del vino Marsala era frutto degli affari della famiglia Ingham - Whitaker, che aveva già dato stretto accordi con Vincenzo Florio, esponente della famosa famiglia imprenditoriale della Belle époque palermitana.

La presenza inglese a Palermo necessitava di un punto di riferimento religioso sia per la comunità inglese presente a Palermo, sia per i connazionali in visita. Ecco perché venne espressa la volontà, nel 1871, di costruire una chiesa di professione Anglicana, secondo l'idea di Joseph Whitaker e Benjamin Ingham Jr, suo cugino. Quest'ultimo morì nel 1872, quindi fu Joseph Whitaker a interessarsi della costruzione della chiesa, che fu finita nel 1875. Gli architetti erano due londinesi, William Barber e Henry Christian.

Facciata della Chiesa (da via Roma)



La chiesa presenta una miscela di diversi stili, ovvero Gotico, Romanico e Bizantino.
Quali gli elementi gotici? Siamo accolti, già all'esterno, dal grande rosone e dal campanile cuspidato. Inoltre, tra gli elementi di sapore gotico abbiamo anche le numerose vetrate colorate all'interno della chiesa


Rosone
Rosone visto dall'interno della chiesa con tre vetri colorati in basso
Il rosone rappresenta l'Adorazione dell'agnello, mentre le vetrate rappresentano la Maria Vergine, Maria Maddalena e S. Giovanni. L'organo è una piccola copia di quello, più grande, della Cattedrale di York. E' ancora l'originale e viene usato per le funzioni.
 L'impianto è tipicamente romanico, caratterizzato da tre navate separate da due fasci di cinque colonne sorrette da arcate a sesto acuto.


Cosa mi ha particolarmente colpito, è l'abside. Gli elementi al suo interno, i mosaici dorati e le colonnine, mi hanno inevitabilmente richiamato alle testimonianze decorative arabo-normanne che noi già conosciamo in chiese come la Cappella Palatina e il Duomo di Monreale. Ed è proprio questo fattore storico la motivazione per cui nella costruzione della chiesa si è voluto far riferimento anche all'influenza di quel preciso stile architettonico nella nostra terra. Le decorazioni sono state progettate da Francis Cranmer Penroso, un architetto bizantino, e realizzata dalla Ditta Salviati di Venezia. La successione di nicchie (nella foto sono in basso) rappresentano i dodici apostoli, e al centro si posiziona Cristo attorniato dagli Angeli. Nel catino absidale troviamo altri mosaici inseriti in cinque pennacchi, in cui troviamo Cristo al centro e i quattro Evangelisti (in ordine da sinistra verso destra: Matteo, Marco - Cristo - Luca, Giovanni).
Ancora più sopra, insieme a quattro Angeli, troviamo i quattro maestri della chiesa Occidentale: S. Ambrosio, S. Geronimo, S. Agostino e S. Gregorio il Grande.

Intorno all'abside, sopra le nicchie con gli apostoli e Cristo, troviamo la frase “Him that cometh to me I will in no wise cast out” (Colui che viene da me non sarà in al cun modo cacciato via).

Abside


Nei capitelli delle quattro colonnine attorno Cristo troviamo elementi che rimandano al Regno Unito e alla Sicilia. Rispettivamente, a partire dalla colonnina di sinistra, la rosa per l'Inghilterra, il cardo per la Scozia, il trifoglio per l'Irlanda e l'iris per la Sicilia. 

Ubicazione


martedì 23 aprile 2013

Loggiato San Bartolomeo, Palermo

In occasione XXIV Giornata internazionale della Guida Turistica del 16 Febbraio ho avuto l'occasione di visitare il Loggiato San Bartolomeo, situato a sinistra di Porta Felice, accanto l'Istituto Nautico. 

Il Loggiato, visibile dal Foro Italico, è ciò che è rimasto di un antico ospedale, appunto l'Ospedale S. Bartolomeo, costruito nel 1605, convertito poi nel 1826 in un orfanotrofio, il Conservatorio S. Spirito. Dopo i distruttivi bombardamenti del 1943, l'edificio andò distrutto
.Ciò che possiamo vedere oggi, sono due ordini di logge su una facciata bianca.


Fonte: Wikipedia.org

Oggi sede espositiva, contiene due sale in cui vengono allestite mostre e manifestazioni. 

Ho avuto l'opportunità di salire nel tetto, da dove si può godare un bellissimo panorama della città. Posto in seguito alcune foto scattate dall'alto.

Porta Felice, Foro Italico e Palermo orientale


Mura delle Cattive e Palazzo Butera 



La Cala e Monte Pellegrino

Teatro Massimo e Cupola di Sant'Ignazio all'Olivella