domenica 19 ottobre 2014

La meravigliosa Cappella Palatina

<< La chapelle Palatine, la plus belle qui soit au monde, le plus surprenant bijou religieux rêvé par la pensée humaine et exécuté par des mains d'artiste >>

Ecco come definì Guy de Maupassant la Cappella Palatina. La più bella del mondo, il più sorpendente gioiello religioso concepito dalla mente umana e creato dalle mani di artisti.

Costruita a partire dal 1130, anno di incoronazione di Ruggero II, e consacrata nel 1143, la chiesa è incastonata tra le mura dell'imponente Palazzo dei Normanni, ed è una meravigliosa sintesi delle varie influenze artistiche del tempo. Impianto basilicale, decorazione musiva bizantina, soffitto ligneo di matrice islamica, elementi che sembrano accoppiarsi perfettamente e che danno vita ad una scenografia mozzafiato. La sensazione che si prova quando si entra nella Cappella Palatina, è di trovarsi avvolto in un tripudio di marmi e mosaici dorati che lascia lo spettatore incantato.

Non mi soffermerò molto sull'aspetto tecnico della chiesa, ma vi propongo delle mie foto che spero vi faranno comprendere la bellezza di tale monumento.
Ecco a voi la bellissima Cappella Palatina!



Esterno

Decorazioni all'esterno

Decorazioni all'esterno

Decorazioni all'esterno

Decorazioni all'esterno

Decorazioni all'esterno



















Davide


venerdì 5 settembre 2014

" Cento Sicilie " di Gesualdo Bufalino

Oggi voglio condividere con voi una delle più belle pagine mai lette. Sono quelle dell'introduzione di " Cento Sicilie " scritto da Gesualfo Bufalino, che ci dona una delle più belle e profonde visioni di questa terra così affascinante e controversa.

" Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è dispari, mischiato cangiante, come nel più ibrido dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. 

Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. 
Vi è la Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. 
Vi è la Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio… 

Tante Sicilie, perché? Perché la Sicilia ha avuto la sorte di trovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, fra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e la canicole della passione. Soffre, la Sicilia, di un eccesso d’identità, né so se sia un bene o sia un male. Certo per chi ci è nato dura poco l’allegria di sentirsi seduto sull’ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino. Capire la Sicilia per un Siciliano significa capire se stesso, assolversi, o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l’oscillazione tra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amore di clausura, secondo che ci tenti l’espatrio o ci lusinghi l’intimità della tana, la seduzione di vivere come un vizio solitario. 

L’insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi. Diversi dall’invasore…, diversi dall’amico che viene a trovarci ma parla una lingua nemica; diversi dagli altri, e diversi anche noi, l’uno dall’altro, e ciascuno da se stesso. 

Ogni Siciliano è, di fatti, una irripetibile ambiguità psicologica e morale. Così come l’isola tutta è una mischia di lutto e luce, e fa sembrare incredibile, inaccettabile la morte. Altrove la morte può forse giustificarsi come l’esito naturale d’ogni processo biologico, qui appare uno scandalo, un’invidia degli dei. "


sabato 14 giugno 2014

" Come l'amore " di Massimo Recalcati.

Questa è una trascrizione (non è completa, l’ho un po’ rielaborata) tratta dall’intervento “ Come l’amore “  di Massimo Recalcati a “ Libri come “, conferenza tenutasi all’Auditorium Parco della Musica di Roma tra il 13 e il 16 Marzo 2014. 

Ho apprezzato moltissimo il suo intervento, perché offre degli spunti interessanti per una riflessione sull’amore, e volevo proporveli.

Nell’intervento sono descritte quattro scene.

Prima scena. Che ne è dell’amore oggi, nel nostro tempo? Che ne è dell’amore eterno?



“ Amore eterno, per sempre, infinito “ si rischia di essere villipesi, suscita ironia, si sputa sull’idea che l’amore possa essere eterno, che possa toccare la dimensione dell’infinito.

C’è una contraddizione profonda, come può essere eterno l’amore se la nostra vita è destinata alla morte?
Come si ricompone questa contraddizione tra amore infinito e vita mortale?
Il nostro tempo schernisce l’amore, lo destina alla sua fatale, inevitabile agonia. Non c’è nessun amore che si può sottrarre alla fine, all’inganno, tutti gli amori sono destinati a perire. Come la neve che è destinata a sciogliersi al primo sole. Il nostro tempo sostiene che esiste un rapporto inversamente proporzionale tra desiderio sessuale e durata dell’amore. L’effetto che la dopamina produce nel primo incontro svanisce, e bisogna doparsi nuovamente, incontrando un altro oggetto, ma anche qui accadrà la stessa cosa, l’effetto dell’eccitazione celebrale, emotiva, svanirà. Il nostro tempo ci dice che l’amore ci dice che ha i giorni contati. Esiste una secca alternativa tra il legame che diventa familiare e la passione amorosa, erotica, sessuale. Queste due cose tendono ad escludersi. 

Questa rappresentazione dell’amore è falsa, è un aspetto della religione del nostro tempo, che si fonda su due menzogne fondamentali

La prima menzogna è quella della libertà, l’idea che l’essere umano è centrato su se stesso, ha come compito l’autoaffermazione, coltivare la propria autonomia, libertà come espressione più pura dell’autonomia del soggetto. La menzogna del nostro tempo ci dice che l’uomo è capace di generarsi da solo, senza la relazione con l’altro. Non c’è vita umana senza il legame con l’altro. Ci si vuol far credere che ciò che conta è il godimento del singolo, accaparrarsi quote sempre più alte del godimento da soli. Farsi da sé. “ Mi sono fatto “ è l’espressione del tossico. Farsi da sé senza passare col legame con gli altri. Il bambino grida, il grido è il segnale che la vita umana senza la risposta dell’altro è la vita destinata all’abbandono assoluto. 
La seconda grande menzogna è quella del “ nuovo “, l’idea che la felicità e la soddisfazione è sempre in quello che ci manca, sempre nel nuovo; nuovo parto, nuova sensazione, nuova esperienza. Questa esperienza porta con sé una certa ebbrezza. Ma questa ebbrezza può svanire. 

“ A è elegante, A è attento, A è bellissimo “ dopo un po’ la figura di A evapora, diventa come tutti gli altri. Poi arriva “ B “ è veramente affascinante, diverso, nuovo, ma B finisce per somigliare ad A. Poi arriva Z, che è diverso da A e B ma alla fine diventa come loro. 
Inseguire il nuovo genera fondamentalmente la stessa insoddisfazione. Trattare gli amore come se fossero oggetti, ha eseguito la sua funzione? Bene, sostituiscilo. Concepire il rapporto con l’altro come oggetto che si guasta e si deve sostituire. Sostituire l’oggetto non modifica l’insoddisfazione. Non è il nuovo che scade nello stesso, come A, come B, come Z, ma è lo stesso amore che ogni volta si rivela nuovo, quando c’è. Forza di rendere lo stesso sempre nuovo.


Seconda scena. Cosa diciamo quando diciamo “amore”?

Confutazioni della prima, riguardo il fatto che non esiste amore eterno.
Quando diciamo “ Ti amo “, secondo Freud, io amo in te me stesso, l’amore per Freud ha una struttura narcisistica, rappresentazione ideale di quello che vorremmo essere, miscela esplosiva di erotizzazione e aggressività. Ti amo perché non posso essere te, e nella misura in cui ti amo, io ti odio. Per Freud l’amore è l’inganno nello specchio, l’amore è un’illusione.
Si sputa sull’amore, si ironizza sull’amore, va corretto il pensiero di Freud, è vero che esistono amori narcisisti, ma è vero che non sono l’unica versione dell’amore. Aldilà del narcisismo, cosa possiamo amare dell’altro se non l’ “io “ ideale? Quando l’anallsta chiede dell’incontro di Y con A, che cosa ama di lui/lei? Le qualità che hanno acceso il sentimento amoroso. Chiunque elenca le proprietà che qualificano l’oggetto d’amore, si rimane sempre insoddisfatti, non si può dire davvero di cosa si è innamorati. Si ama tutto, noi non amiamo qualcosa, amiamo tuto. Non solo l’immagine dell’altro, non solo ciò che ci colpisce il volto, la voce, il modo di muoversi, la professione, noi amiamo tutto. Anche le sue manie, bizzarrie, gli elementi più infimi. Quando c’è amore, l’amore è per tutto, anche della particolarità più particolare dell’altro. Amore per quell’essere particolare incarnato in un corpo. Questo rende l’oggetto uno strano oggetto. Se amo tutto dell’altro, questo oggetto esce, si sgancia dalla catena di tutti gli altri oggetti, diventa un oggetto insostituibile. Non si lascia sostituire così facilmente, in questo senso lega, vincola, in questo senso ogni amore aspira all’eterno, al fatto che sia per sempre, aspira alla ripetizione di questo incontro irripetibile.

Cosa avviene in un incontro d’amore?

L’incontro d’amore avviene secondo la casualità più pura. “ Destino che ci incontrassimo “ l’evento dell’incontro è una pura coincidenza, ci si incontra per strada, al supermercato, in una festa, sulle scale dell’univeristà. Due sconosciuti si incontrano, scatta qualcosa che è nell’ordine dell’intraducibile, non si può spiegare ragionevolmente. Quando l’incontro diventa un incontro d’amore, questo incontro che nasce dalla più bassa dela casualità, porta gli amanti a provare a rendere questo incontro un incontro scritto nel destino. Sappiamo che non c’è nessun firmamento, non c’è nessun patto, contratto, che da destino alla casualità dell’incontro amoroso. Ogni amore, anche in una vita, vuole essere eterno. Non un solo amore, ogni amore, punta a trasformare il caso in destino. La contingenza in necessità. Se pensiamo al volto della persona che amiamo, non ci stancheremo mai di guardarlo, quel volto è sempre nuovo. Questo corpo che conosco bene, ogni volta che lo incontro è nuovo. Questa potenza trasformativa è dimostrazione dell’amore. Rendere lo stesso nuovo. Ogni anno quando arriva il cielo primaverile è sempre nuovo, ogni volta si rivela nuovo. Punto magico dell’amore.

Qual è la parola fondamentale dell’amore? Ancora.

Per gli amanti è sempre ancora, ancora come oggi, ancora lo stesso, ancora questo corpo. Questo punto illumina la sostanza stramba dell’amore, più io do, più io lo consumo, più cresce, più aumenta. Non esiste una sostanza così, più la si consuma, più cresce. Il giovane Hegel, alla fine di uno scritto giovanile quando deve immaginare la frase che sintetizza l’amore, cita Shakespeare e Romeo e Giulietta “ Più io ti do, più ho “ questo vuol dire che non è solo l’incontro con un altro, uno straniero che diventa il senso della nostra vita, è qualcosa di più, di più radicale, è, nel momento in cui c’è l’incontro casuale, c’è la nascita di un nuovo mondo. L’esperienza degli innamorati, nasce insieme all’amore un nuovo mondo. Non è il mondo dell’uno, non il mondo dell’autoaffermazione. Si vede il mondo dalla prospettiva del due, non dell’uno.


Cosa vuol dire vedere il mondo dalla prospettiva del due, non dell’uno?
Nel film Into the Wild, il ragazzo alla fine dice “ La felicità esiste solo se è condivisa “ solo se è nella logica del due, non nell’uno.
L’amore è la possibilità di vivere il mondo nella prospettiva del due
, che si realizza in modo compiuto in tanti modi, tra cui la nascita di un figlio. Nasce il patto, la promessa. Se volete, il matrimonio, un giuramento che lega gli amanti per sempre. Noi sappiamo che il giuramento ha una struttura bifida, qualunque giuramento. Nel momento in cui giuro, non sono più lo stesso che potrà dire “ è finita “ dopo dieci anni. Ogni volta che giuriamo introduciamo la possibilità dello spergiuro, come se facesse parte del giuramento. Non possiamo avere la garanzia, la certezza che sarà per sempre, nemmeno nel patto del matrimonio.
Bisogna saper rinnovare il patto, e niente lo garantisce.

Terza scena. Il trauma, quando finisce un amore.


Un amore che è nato dal nulla, che è diventato un destino, che ha generato figli, progetti.
Non un amore di mezza estate, un amore che dura una vita. Cosa succede quando uno fa l’esperienza del trauma, dello spergiuro? Improvvisamente o meno, qualcuno dice all’altro “ non è più come prima “ qualcosa è cambiato, qualcosa si è modificato. Per la presenza di un altro, o perché l’amore si è svuotato di passione. Non è più come prima.

Cos’è un trauma nella vita amorosa? 

Dico, nel libro, che il trauma è un pugno in faccia, una percossa. Il mondo crolla, la fiducia nel mondo crolla, quando viene sferrato il primo colpo. Colpo che sfonda la consistenza del mondo. Da quel momento, dal primo colpo, dalla scoperta di un tradimento, il mondo è più come prima, il legame non è più come prima. Se quel legame dava il senso il mondo, il mondo perde senso. Precipitare nel non senso, nell’abbandono assoluto. Tornare ad essere il grido che è stato alla nascita, grido al più nessuno risponde. Notti tormentate del traumatizzato d’amore, non si riesce a prendere sonno, ci si gira e rigira. Non ci si fida del mondo, si ha paura della notte. Il traumatizzato d’amore è in affanno, scopre una verità profonda, scopre che la vera vulnerabilità dell’essere umano non è nel vivere nell’uno, ma nel vivere del due. Chi vuole vivere nell’uno pregiudica la possibilità di vivere nel due. Vivere nel due è rischiare, essere nelle mani dell’altro, senza riserve, senza conti in banca, solo in questo legame. L’amore assoluto esige l’esposizione assoluta. Questo espone al trauma, espone al rischio della perdita. A volte c’è il rifiuto dell’incontro, difesa dell’avere.  Ma l’incontro con una donna è un incontro con una lingua straniera, non si capisce niente, cosa vuol dire. I migliori, sono i maschi che anche non capendo si impegnano di comprendere quella lingua straniera, ma a volte cercano i dizionari: amici, genitori, psicanalisti. Cattivi dizionari, non esiste un dizionario che traduca la lingua della donna, perché è un mistero. Il femminicidio nasce da qui, dall’incontro di una lingua straniera, dalla incomprensione della lingua e della distruzione di essa. “ Sono tutte puttane “ esorcizzare l’angoscia che ogni uomo porta con sé quando incontra una donna. Sono fatte diverse, non si sa come. Il funzionamento maschile si fonda sul principio dell’avere, non sull’esposizione, ma sulla appropriazione. E quando una donna sfugge all’appropriazione, può arrivare la violenza. I casi di femminicidio aumentano proporzionalmente all’acquisizione di valore della parola delle donne. Nelle donne c’è un meccanismo perverso di altro genere, l’uomo risolve o amando la lingua straniera, o mettendo i guanti, o con la violenza. Il rischio è che le donne si attacchino a quella violenza. Essere malmentati dal fidanzato, anche in modo brutale, e non veder l’ora da parte della donna di rivederlo. Gli essere umani non si comportano verso il male come la zampina di un gatto verso una fonte di calore che si toglie. Noi stiamo lì, teniamo lì la mano, sulla fonte di calore.

Quarta scena. Il Perdono 


Cosa accade quando c’è “ non è più come prima “ ? Si trasforma da fonte di bene, da base del mondo, a ciò che rende dissestato il mondo. Cosa succede se questa persona torna, e chiede di essere perdonata? Qui si apre la vera questione. Si può perdonare in amore? È possibile perdonare il tradimento, lo spergiuro? C’è esperienza del perdono solo di fronte all’imperdonabile. Nella psicanalisi non c’è il perdono. Viene da lontano, dalla cultura cristiana, in cui il perdono occupa un punto centrale. Da laico penso ci sia qualcosa da recuperare. Parlo di una scena molto nota, fìgliol prodigo. Il figlio va, sciupa il patrimonio, il figlio dice “ Dammi “ al padre. L’imperativo categorico dei figli di oggi. Il padre dice va bene, divide in due le sue sostanze. Il figlio dissipa tutto. Ritorna, ma non pentito, chiede al padre di trattarlo almeno come un serve.
Ecco il punto centrale, metafora nella relazione d’amore. In chi ha tradito non c’è pentimento, quando il figliol prodigo non dice che si pente, non c’è niente del genere. C’è calcolo di una difficoltà a sopravvivere in quel modo, la necessità di tornare a ricevere uno stipendio dal padre. Ritorno alla normalità. Il padre gli corre in contro, lo abbraccia, fa festa. Qui si gioca qualcosa di potente. Il perdono è una festa, quando accade. La festa del ritrovamento, questo amore che sembrava morto, questo amore che è caduto in ginocchio, questo amore che ha ingannato la promessa, attraverso il lavoro del perdono, che non è immediato. L’essere umano ha bisogno di tempo, come nel lutto. Tempo psichico, lasso di tempo, non esiste il perdono rapido. Quando avviene, alla fine del lavoro del perdono, questo amore morto, che si era spento, era perduto, rinasce, si rinnova, c’è la festa del ritrovamento. Poter ricominciare non perché si dimentica il trauma. 
La ferita resta. Forza che trasforma l’amore morto in amore vivo, quando accade, è una meraviglia, quando può accadere, è una potenza. Da laico mi sfugge il mistero della resurrezione, l’unica esperienza per noi è far risorgere un amore, noi perdoniamo e facciamo l’esperienza della vita che risorge dalla morte. L’impossiibilità di perdonare ha la stessa dignità del perdono. Percezione dell’impossibilità, non sempre per orgoglio, ma per rimanere fedeli a quell’amore. 
Stessa dignità del perdono come possibilità impossibile. 




Davide

sabato 12 aprile 2014

Palermo; come ritrovarsi tra piaceri, dispiaceri, stupore e rabbia.

Palermo ti immerge in un percorso emozionale. Un po' come essere buttati nel mezzo di una fitta foresta; ma prima di ritrovare un'ipotetica via d'uscita, bisogna ritrovare noi stessi, cercare di equilibrare le nostre emozioni.

A Palermo ci si esercita giornalmente ad equilibrare le emozioni, attorno a quel filo sottile che a Palermo divide la vergogna e il compiacersi di vivere qui. Ma la cosa più affascinante è che non si riesce facilmente ad uscirne da questa situazione. Spesso ci si prova con un aereo, ma il risultato non è assicurato.

Ci si può provare con tutte le forze che si possiedono ad amarla, ma spesso è molto più facile odiarla, ci fa sentire al di fuori da quello che critichiamo di questa città, perché noi a volte non vorremmo essere Palermitani, proprio quelli del " Palermo è bella, sono i Palermitani che fanno schifo " . Eppure lo siamo, ci siamo dentro; quello è un altro dei tentativi con cui tentiamo di distaccarci da qualcosa di inspiegabile, cioè il rapporto con la città.

Quando mi capita di accompagnare qualcuno per le vie della città ci tengo a dire che in pochi luoghi si può trovare questa esasperata presenza di contraddizioni, che non ci permettono di esprimere giudizi chiari su cosa vediamo intorno a noi. La si può amare, forse, ma per amarla devi aver provato ad odiarla prima, ma proprio tanto. Bisogna capire che amore e odio a volte sono davvero due facce della stessa medaglia.

Palermo non si presenta bene ai visitatori, non è una città accogliente, ma disorienta, perché per farsi amare devi fare tu il primo passo. Dopo quello, sopraggiungono anche stupore e molti piaceri nel farsi incantare da questa città, ma rimane la rabbia, rimane il dispiacere. Perché è proprio quando ti accorgi del suo carattere più celato, quello bello, che ti chiedi perché ci sei stato così tanto a scoprirlo, e soprattutto perché nessuno te ne aveva mai parlato prima.

Ma forse è anche meglio così, Palermo non possiede una bellezza scontata, devi ricercarla negli aspetti più nascosti agli occhi comuni, e quando si inizia, non si finisce mai di essere stupiti di quanto riusciamo maledettamente a nascondere i suoi aspetti più nascosti; perché si, le bellezze sono lì, sotto casa nostra, ma noi non abbiamo spesso gli occhi giusti per osservarle.

Un oscillare continuo tra diverse emozioni contrastanti che ci fanno perdere la speranza che questa città possa essere compresa e spiegata razionalmente. Non si può, al massimo possiamo abbandonarci a lei come dei figli in attesa di un'adozione dalla cui non sappiamo cosa ci aspetta.

Davide

 
"
Sometimes I feel like I don't have a partner, sometimes I feel like my only friend is the city I live in, the city of angels, lonely as I am, together we cry "
(Under the Bridge - Red Hot Chili Peppers)

sabato 1 marzo 2014

Poesia: Alla Sicilia

Alla Sicilia

Ami essere struggente,
e terra dalle mille identità.
Abbatti il nuovo, conservi il
vecchio
con le esauste braccia
di una madre che troppi figli ha visto
partire.

Domini l'animo, infervorandolo di una
passione
insostenibile, che solo l'amore riesce a donare.

Violenti i sogni di ogni giovane mente,
stringendo cupamente ogni cuore romantico
che pretende di
cambiarti
ricambiando il tuo amore;

non vuoi essere svegliata,
non vuoi essere portata tra i venti del cambiamento,

sei profondamente Isola, sei un richiamo al solenne
riposo
attraverso cui, riluttante,
resisti alla tentazioni del tempo, che in
te
assume una condizione unica, e che in
me
è la spinta per cui, con il cuore impietrito
ti lascerò, per non sentirmi più
soffocato
tra le tue dolci braccia.

Davide, 24 Maggio 2013





I contenuti presenti sul blog "Il diario di un giovane Siciliano" dei quali è autore il proprietario del blog non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti perché appartenenti all'autore stesso.
E’ vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma.
E’ vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.