Questa è una
trascrizione (non è completa, l’ho un po’ rielaborata) tratta dall’intervento “ Come l’amore
“ di Massimo Recalcati a “ Libri come “,
conferenza tenutasi all’Auditorium Parco della Musica di Roma tra il 13 e il 16
Marzo 2014.
Ho apprezzato moltissimo il suo intervento, perché offre degli
spunti interessanti per una riflessione sull’amore, e volevo proporveli.
Nell’intervento sono descritte quattro scene.
Prima scena. Che ne è dell’amore oggi,
nel nostro tempo? Che ne è dell’amore eterno?
“ Amore eterno, per sempre, infinito “ si rischia di essere villipesi, suscita
ironia, si sputa sull’idea che l’amore possa essere eterno, che possa toccare
la dimensione dell’infinito.
C’è una contraddizione profonda,
come può essere eterno l’amore se la nostra vita è destinata alla morte?
Come si ricompone questa contraddizione tra amore infinito e vita mortale?
Il nostro tempo schernisce l’amore, lo destina alla sua fatale, inevitabile
agonia. Non c’è nessun amore che si può sottrarre alla fine, all’inganno, tutti
gli amori sono destinati a perire. Come la neve che è destinata a sciogliersi
al primo sole. Il nostro tempo sostiene che esiste un rapporto inversamente
proporzionale tra desiderio sessuale e durata dell’amore. L’effetto che la
dopamina produce nel primo incontro svanisce, e bisogna doparsi nuovamente,
incontrando un altro oggetto, ma anche qui accadrà la stessa cosa, l’effetto
dell’eccitazione celebrale, emotiva, svanirà. Il nostro tempo ci dice che l’amore
ci dice che ha i giorni contati. Esiste una secca alternativa tra il legame che
diventa familiare e la passione amorosa, erotica, sessuale. Queste due cose
tendono ad escludersi.
Questa rappresentazione dell’amore è
falsa, è un aspetto della religione del nostro tempo, che si fonda su due
menzogne fondamentali.
La prima menzogna
è quella della libertà, l’idea che l’essere umano è centrato su se stesso,
ha come compito l’autoaffermazione, coltivare la propria autonomia, libertà
come espressione più pura dell’autonomia del soggetto. La menzogna del nostro
tempo ci dice che l’uomo è capace di generarsi da solo, senza la relazione con
l’altro. Non c’è vita umana senza il legame con l’altro. Ci si vuol far credere
che ciò che conta è il godimento del singolo, accaparrarsi quote sempre più
alte del godimento da soli. Farsi da sé. “ Mi sono fatto “ è l’espressione del
tossico. Farsi da sé senza passare col legame con gli altri. Il bambino grida,
il grido è il segnale che la vita umana senza la risposta dell’altro è la vita
destinata all’abbandono assoluto.
La
seconda grande menzogna è quella del “ nuovo “, l’idea che la felicità e la
soddisfazione è sempre in quello che ci manca, sempre nel nuovo; nuovo parto,
nuova sensazione, nuova esperienza. Questa esperienza porta con sé una certa
ebbrezza. Ma questa ebbrezza può svanire.
“ A è elegante, A è attento, A è bellissimo “ dopo un po’ la figura di A
evapora, diventa come tutti gli altri. Poi arriva “ B “ è veramente
affascinante, diverso, nuovo, ma B finisce per somigliare ad A. Poi arriva Z,
che è diverso da A e B ma alla fine diventa come loro. Inseguire il nuovo genera fondamentalmente la stessa insoddisfazione.
Trattare gli amore come se fossero oggetti, ha eseguito la sua funzione? Bene,
sostituiscilo. Concepire il rapporto con l’altro come oggetto che si guasta e
si deve sostituire. Sostituire l’oggetto non modifica l’insoddisfazione. Non è
il nuovo che scade nello stesso, come A, come B, come Z, ma è lo stesso amore che ogni volta si rivela
nuovo, quando c’è. Forza di rendere lo stesso sempre nuovo.
Seconda
scena. Cosa diciamo quando diciamo “amore”?
Confutazioni della prima, riguardo il fatto che non esiste amore eterno.
Quando diciamo “ Ti amo “, secondo Freud, io amo in te me stesso, l’amore per
Freud ha una struttura narcisistica, rappresentazione ideale di quello che
vorremmo essere, miscela esplosiva di erotizzazione e aggressività. Ti amo perché non posso essere te, e nella
misura in cui ti amo, io ti odio. Per Freud l’amore è l’inganno nello
specchio, l’amore è un’illusione.
Si sputa sull’amore, si ironizza sull’amore, va corretto il
pensiero di Freud, è vero che esistono amori narcisisti, ma è vero che non sono l’unica versione dell’amore.
Aldilà del narcisismo, cosa possiamo amare dell’altro se non l’ “io “
ideale? Quando l’anallsta chiede dell’incontro di Y con A, che cosa ama di
lui/lei? Le qualità che hanno acceso il sentimento amoroso. Chiunque elenca le
proprietà che qualificano l’oggetto d’amore, si rimane sempre insoddisfatti,
non si può dire davvero di cosa si è innamorati. Si ama tutto, noi non amiamo
qualcosa, amiamo tuto. Non solo l’immagine dell’altro, non solo ciò che ci
colpisce il volto, la voce, il modo di muoversi, la professione, noi amiamo
tutto. Anche le sue manie, bizzarrie, gli elementi più infimi. Quando c’è
amore, l’amore è per tutto, anche della particolarità più particolare dell’altro.
Amore per quell’essere particolare incarnato in un corpo. Questo rende l’oggetto
uno strano oggetto. Se amo tutto dell’altro, questo oggetto esce, si sgancia
dalla catena di tutti gli altri oggetti, diventa un oggetto insostituibile. Non
si lascia sostituire così facilmente, in questo senso lega, vincola, in questo
senso ogni amore aspira all’eterno, al fatto che sia per sempre, aspira alla
ripetizione di questo incontro irripetibile.
Cosa avviene in un
incontro d’amore?
L’incontro d’amore
avviene secondo la casualità più pura. “ Destino che ci incontrassimo “ l’evento
dell’incontro è una pura coincidenza, ci si incontra per strada, al
supermercato, in una festa, sulle scale dell’univeristà. Due sconosciuti si
incontrano, scatta qualcosa che è nell’ordine dell’intraducibile, non si può
spiegare ragionevolmente. Quando l’incontro diventa un incontro d’amore, questo
incontro che nasce dalla più bassa dela casualità, porta gli amanti a provare a
rendere questo incontro un incontro scritto nel destino. Sappiamo che non c’è
nessun firmamento, non c’è nessun patto, contratto, che da destino alla
casualità dell’incontro amoroso. Ogni amore, anche in una vita, vuole essere eterno.
Non un solo amore, ogni amore, punta a
trasformare il caso in destino. La contingenza in necessità. Se pensiamo al
volto della persona che amiamo, non ci stancheremo mai di guardarlo, quel volto
è sempre nuovo. Questo corpo che conosco bene, ogni volta che lo incontro è
nuovo. Questa potenza trasformativa è dimostrazione dell’amore. Rendere lo
stesso nuovo. Ogni anno quando arriva il cielo primaverile è sempre nuovo, ogni
volta si rivela nuovo. Punto magico dell’amore.
Qual è la parola
fondamentale dell’amore? Ancora.
Per gli amanti è sempre ancora, ancora come oggi, ancora lo
stesso, ancora questo corpo. Questo punto illumina la sostanza stramba dell’amore,
più io do, più io lo consumo, più cresce, più aumenta. Non esiste una sostanza
così, più la si consuma, più cresce. Il giovane Hegel, alla fine di uno scritto
giovanile quando deve immaginare la frase che sintetizza l’amore, cita
Shakespeare e Romeo e Giulietta “ Più io ti do, più ho “ questo vuol dire che
non è solo l’incontro con un altro, uno straniero che diventa il senso della
nostra vita, è qualcosa di più, di più radicale, è, nel momento in cui c’è l’incontro casuale, c’è la nascita di un nuovo
mondo. L’esperienza degli innamorati, nasce insieme all’amore un nuovo mondo.
Non è il mondo dell’uno, non il mondo dell’autoaffermazione. Si vede il mondo
dalla prospettiva del due, non dell’uno.
Cosa vuol dire vedere il mondo dalla prospettiva del due,
non dell’uno?
Nel film Into the Wild, il ragazzo alla fine dice “ La felicità esiste solo se
è condivisa “ solo se è nella logica del due, non nell’uno.
L’amore è la possibilità di vivere il mondo nella prospettiva del due, che
si realizza in modo compiuto in tanti modi, tra cui la nascita di un figlio.
Nasce il patto, la promessa. Se volete, il matrimonio, un giuramento che lega
gli amanti per sempre. Noi sappiamo che il giuramento ha una struttura bifida,
qualunque giuramento. Nel momento in cui giuro, non sono più lo stesso che
potrà dire “ è finita “ dopo dieci anni. Ogni volta che giuriamo introduciamo la
possibilità dello spergiuro, come se facesse parte del giuramento. Non possiamo
avere la garanzia, la certezza che sarà per sempre, nemmeno nel patto del
matrimonio.
Bisogna saper rinnovare il patto, e niente lo garantisce.
Terza scena. Il trauma, quando finisce un amore.
Un amore che è nato dal nulla, che è diventato un destino, che ha generato
figli, progetti.
Non un amore di mezza estate, un amore che dura una vita. Cosa succede quando
uno fa l’esperienza del trauma, dello spergiuro? Improvvisamente o meno,
qualcuno dice all’altro “ non è più come prima “ qualcosa è cambiato, qualcosa
si è modificato. Per la presenza di un altro, o perché l’amore si è svuotato di
passione. Non è più come prima.
Cos’è un trauma nella vita amorosa?
Dico, nel libro, che il trauma è un pugno in faccia, una percossa. Il mondo
crolla, la fiducia nel mondo crolla, quando viene sferrato il primo colpo.
Colpo che sfonda la consistenza del mondo. Da quel momento, dal primo colpo,
dalla scoperta di un tradimento, il mondo è più come prima, il legame non è più
come prima. Se quel legame dava il senso
il mondo, il mondo perde senso. Precipitare nel non senso, nell’abbandono
assoluto. Tornare ad essere il grido che è stato alla nascita, grido al più
nessuno risponde. Notti tormentate del traumatizzato d’amore, non si riesce
a prendere sonno, ci si gira e rigira. Non ci si fida del mondo, si ha paura
della notte. Il traumatizzato d’amore è in affanno, scopre una verità profonda,
scopre che la vera vulnerabilità dell’essere umano non è nel vivere nell’uno,
ma nel vivere del due. Chi vuole vivere nell’uno pregiudica la possibilità di
vivere nel due. Vivere nel due è rischiare, essere nelle mani dell’altro, senza
riserve, senza conti in banca, solo in questo legame. L’amore assoluto esige l’esposizione
assoluta. Questo espone al trauma, espone al rischio della perdita. A volte c’è
il rifiuto dell’incontro, difesa dell’avere. Ma l’incontro con una donna è un incontro con
una lingua straniera, non si capisce niente, cosa vuol dire. I migliori, sono i
maschi che anche non capendo si impegnano di comprendere quella lingua
straniera, ma a volte cercano i dizionari: amici, genitori, psicanalisti. Cattivi
dizionari, non esiste un dizionario che traduca la lingua della donna, perché è
un mistero. Il femminicidio nasce da qui, dall’incontro di una lingua
straniera, dalla incomprensione della lingua e della distruzione di essa. “
Sono tutte puttane “ esorcizzare l’angoscia che ogni uomo porta con sé quando
incontra una donna. Sono fatte diverse, non si sa come. Il funzionamento maschile
si fonda sul principio dell’avere, non sull’esposizione, ma sulla
appropriazione. E quando una donna sfugge all’appropriazione, può arrivare la
violenza. I casi di femminicidio aumentano proporzionalmente all’acquisizione
di valore della parola delle donne. Nelle donne c’è un meccanismo perverso di
altro genere, l’uomo risolve o amando la lingua straniera, o mettendo i guanti,
o con la violenza. Il rischio è che le donne si attacchino a quella violenza.
Essere malmentati dal fidanzato, anche in modo brutale, e non veder l’ora da
parte della donna di rivederlo. Gli essere umani non si comportano verso il
male come la zampina di un gatto verso una fonte di calore che si toglie. Noi
stiamo lì, teniamo lì la mano, sulla fonte di calore.
Quarta scena. Il Perdono
Cosa accade quando c’è “ non è più come prima “ ? Si trasforma da fonte di
bene, da base del mondo, a ciò che rende dissestato il mondo. Cosa succede se
questa persona torna, e chiede di essere perdonata? Qui si apre la vera
questione. Si può perdonare in amore? È possibile perdonare il tradimento, lo
spergiuro? C’è esperienza del perdono solo di fronte all’imperdonabile. Nella
psicanalisi non c’è il perdono. Viene da lontano, dalla cultura cristiana, in
cui il perdono occupa un punto centrale. Da laico penso ci sia qualcosa da
recuperare. Parlo di una scena molto nota, fìgliol prodigo. Il figlio va,
sciupa il patrimonio, il figlio dice “ Dammi “ al padre. L’imperativo
categorico dei figli di oggi. Il padre dice va bene, divide in due le sue
sostanze. Il figlio dissipa tutto. Ritorna, ma non pentito, chiede al padre di
trattarlo almeno come un serve.
Ecco il punto centrale, metafora nella relazione d’amore. In chi ha tradito non
c’è pentimento, quando il figliol prodigo non dice che si pente, non c’è niente
del genere. C’è calcolo di una difficoltà a sopravvivere in quel modo, la
necessità di tornare a ricevere uno stipendio dal padre. Ritorno alla
normalità. Il padre gli corre in contro, lo abbraccia, fa festa. Qui si gioca
qualcosa di potente. Il perdono è una festa, quando accade. La festa del
ritrovamento, questo amore che sembrava morto, questo amore che è caduto in
ginocchio, questo amore che ha ingannato la promessa, attraverso il lavoro del
perdono, che non è immediato. L’essere umano ha bisogno di tempo, come nel
lutto. Tempo psichico, lasso di tempo, non esiste il perdono rapido. Quando
avviene, alla fine del lavoro del perdono, questo amore morto, che si era
spento, era perduto, rinasce, si rinnova, c’è la festa del ritrovamento. Poter
ricominciare non perché si dimentica il trauma.
La ferita resta. Forza che
trasforma l’amore morto in amore vivo, quando accade, è una meraviglia, quando
può accadere, è una potenza. Da laico mi sfugge il mistero della resurrezione,
l’unica esperienza per noi è far risorgere un amore, noi perdoniamo e facciamo
l’esperienza della vita che risorge dalla morte. L’impossiibilità di perdonare
ha la stessa dignità del perdono. Percezione dell’impossibilità, non sempre per
orgoglio, ma per rimanere fedeli a quell’amore.
Stessa dignità del perdono come
possibilità impossibile.
Davide