lunedì 27 agosto 2012

Frammenti de " Il giorno della civetta ".

Rieccomi qui! :)

Ho appena finito di leggere " Il giorno della civetta " , romanzo di Leonardo Sciascia, con l'intento devo dire ancora molto "nebbioso" di prenderne spunto per un eventuale discorso all'esame di maturità che terrò tra poco meno di un anno. È uno dei romanzi che più mi è piaciuto, ed è per questo che, dopo averlo letto già una volta, ho scelto di rinfrescarmi la memoria e quindi riprenderlo in mano. Linguaggio che si può definire semplice nella struttura, anche se non capisco bene come mai tanti affermano che non lo è, forse perchè è pienissimo di un linguaggio figurato, che è tanto caro a noi Siciliani che con l'immaginazione ci viviamo, e quindi ci viene abbastanza facile capirlo e assimilarlo.

È un romanzo che ha come tema centrale la mafia, che viene raccontata più come quotidaneità che come un mondo a parte. Infatti, il protagonista è il Capitan Bellodi, proveniente dall'emilia per andare nel profondo Sud e sbattere contro tantissimi muri che cominciano a coinvolgerlo in una spirale senza fine, come la mafia stessa è.Crimini, sotterfugi, conoscienze, barbieri che sanno tutto di tutti, fucili non in regola e capi mafia che hanno bene in mente chi sia uomo e chi no. 

Ho chiamato questo post in questo modo perchè voglio trascrivere alcuni pezzi che mi sono piaciuti.Pochi, ma significativi. 

Cominciamo con il modo in cui il capo mafia  don Mariano Arena cataloga gli uomini tutti. Uno dei pezzi più significativi del romanzo, a mio avviso.

"Io" proseguì don Mariano "ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, chè mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono coe i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha pià senso e più espressione di quella delle anatre."



Una rappresentazione della realtà tipicamente mafiosa, stretta e cruda, tanto che lo stesso Mariano Arena, successivamente, si giustificherà dell'omicidio di un uomo dicendo che prima bisognava considerare se era uomo oppure no. Cioè, se non lo era, quale era il crimine?


Passiamo a qualcosa di più Siciliano..


" Il maresciallo non capiva perchè il capitano stesse applicato a studiare quelle scritture . < È come spremere una cote, non esce niente > disse, alludendo ai fratelli Colasberna e soci, e a tutto il paese, e alla Sicilia intera. "


Non vi è mai capitato di cercare di capire la vera essenza di quest'isola senza mai venirne a capo? Lo sapeva pure Sciascia, chi più di lui.

Adesso vi trascrivo il mio pezzo preferito in assoluto.

" Aveva voluto parlare a un ufficiale, parendogli il brigadiere incapace di cogliere il suo loico rabesco. E ciò discendeva dal fatto, pensava il capitano, che la famiglia è l'unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia è lo Stato del siciliano. Lo stato, quello che per noi è lo stato, è fuori: entità di fatto realizzata dalla forza; e impone le tasse, il servizio militare, la guerra, il carabiniere. Dentro quell'istituto che è la famiglia, il siciliano valica il confine della propria naturale e tragica solitudine e si adatta,in una sofistica contrattualità di rapporti, alla convivenza. Sarebbe troppo difficile chiedergli di valicare il confine tra la famiglia e lo Stato. Magari si infiammerà dell'idea dello Stato o salirà a dirigerne il governo: ma la forma precisa e definitiva del suo diritto e del suo dovere sarà la famiglia, che  consente più breve il passo verso la vittoriosa solitudine "

È la concezione perfetta del siciliano, pensateci un pò: le vere regole, i veri valori, belli o brutti che siano, ma che caratterizzeranno la nostra vita, saranno sempre frutto della nostra famiglia. Mi direte, ma non è per tutti così? Ebbene, penso che per il Siciliano ciò rimanga sempre, la famiglia non si tocca, sputa su tutto quello che vuoi, ma non sulla famiglia, e soprattutto ogni volta che avrò in mano il potere, sempre una famiglia, una cricca, dovrà essere, perchè è lì che trovo rifugio e la mia amata solitudine, ma anche il mio vero potere.
Purtroppo tale concetto, come evidenzia il testo, ha molte connotazioni negative quando ci spostiamo sul fattore criminalità. E di famiglie se ne sanno tante. Mi sa che questa concezione è molto italiana, e non solo siciliana. Un pò come la teoria del padrone.

Alla fine del romanzo, quando il capitano torna a Parma, incontra i suoi vecchi amici, e ne vengono fuori dialoghi a doppia faccia, quella curiosa dei suoi amici verso la Sicilia, e quella sua, sofferente per questa terra, che tanto lo ha umiliato ma che continua ad attirarlo.

Uno dei frammenti è..

" Si fermò improvvisamente e disse, ad una giovane donna che veniva loro incontro ridente < Sei incredibile anche tu: bellissima... > < Come anch'io? E l'altra chi è? " > < La Sicilia...Donna anche lei: misteriosa, implacabile, vendicativa; e bellissima..Come te. >

C'è molta verità in queste parole. Come in tutto il romanzo, che vi consiglio di leggere.

Spero di non avervi annoiato, e anzi di avervi fatto sentire più Siciliani almeno per un momento! Alla prossima :)


Davide






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